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Sul Covid, la crisi e il lavoro di domani

“Il mercato del lavoro di 10 anni fa è superato, il ruolo che svolgiamo oggi non sarà lo stesso che ricopriremo tra 10 anni, per questo dobbiamo superare alcuni preconcetti ed iniziare a guardare alla flessibilità e all’evoluzione come a un’opportunità e non un limite”  – Yuval Noah Harari

Qualche giorno fami capita un articolo che racconta la possibile bancarotta del gruppo Arcadia (Topshop, Burton, Dorothy Perkins tra i brand più noti), pare infatti che il proprietario, Sir Philip Green non sia riuscito a ottenere un prestito di 30 milioni di sterline da potenziali finanziatori.

La Bbc parla di un numero di possibili lavoratori a rischio che si aggira tra i 13 e 15mila posti, mentre, Susannah Streeter, senior investment and markets analyst di Hargreaves London commenta «Se non entrerà in una procedura di liquidazione volontaria, Arcadia diventerà il più imponente caso di corporate collapse in Gran Bretagna ai tempi della pandemia».

Alt!!! Ma siamo sicuri che il problema sia solo la pandemia? Non si conoscono dati recenti sul gruppo, ma l’anno fiscale chiuso a settembre 2018, evidenzia una perdita pre-tasse di 93 milioni di sterline, dal precedente utile di 165 milioni, ed i ricavi erano in ribasso di 1,8 miliardi. 

La crisi del mercato “tradizionale” della moda è nota, ed il Covid ha solo accelerato alcuni meccanismi di deterioramento di un sistema già traballante, il fallimento del gruppo Arcadia è il risultato di una strategia sbagliata, del non aver investito al momento giusto nel digitale, lasciando quote di mercato che altri, hanno avuto la forza di conquistare. 

Questo è solo un esempio di come, sempre più, dovremo essere pronti a reinventarci, e non solo. Infatti, non si tratta di seguire una moda o rincorrere la tecnologia, sono diversi anni che una macchina o un’innovazione manda in soffitta una professione, molti di coloro che leggeranno questo articolo non sanno nemmeno che sia esistito il mestiere del lampionaiol’addetto alla pulizia, all’accensione e allo spegnimento dei lampioni stradali a olio o a gas, che con l’avvento dell’elettricità non esiste più.

Al contempo ci sono mestieri di cui oggi non si parla, ma che saranno indispensabili nei prossimi anni, ad esempio, per impedire il disastro climatico globale dovremmo ridurre a zero le emissioni entro il 2050.

Nei prossimi trent’anni dovremmo cambiare le nostre abitudini di consumatori e attuare una rivoluzione radicale nella produzione di energia e nei mezzi di trasporto. Se 150 ppm e la soglia massima accettabile di concentrazione di CO2 e oggi siamo a 415 ppm, che aumentano di 2-3 ppm all’anno, anche se riusciremo ad azzerare le emissioni, occorrerà riassorbire migliaia di tonnellate di CO2 già presenti nell’atmosfera.

Si tratta di salvare la terra: è un compito al quale non ci si può sottrarre. Vivendo sotto la minaccia del caos climatico non possiamo più chiedere ai bambini e i ragazzi di oggi “Che cosa vuoi fare da grande”, ma “Che cosa dovrai fare da grande?”

L’eliminatore di carbonio è una professione che dovrà diffondersi sempre più. I progressi maggiori da compiere nel XXI secolo dovranno riguardare la cattura di CO2 e il suo smaltimento o la messa appunto di un metodo per estrarlo direttamente dall’aria e renderlo un bene utile.

Sulla brughiera della Hellisheiði cominciano a muoversi i primi «eliminatori di carbonio» della storia, come fecero i fratelli Wright con l’aviazione tempo fa. La centrale geotermica di Hellisheiði rilascia circa ventimila tonnellate di CO2 all’anno. Nel 2012 si è valutata la possibilità di trasformare CO2 in roccia. Il metodo consiste nel sciogliere CO2 nell’acqua, creando una specie di acqua gassata, pompare la soluzione nel suolo e lasciarla reagire con il basalto.

Il risultato è la formazione di spalto d’Islanda, un carbonato di calcio cristallizzato, che poi è la stessa sostanza utilizzata dai coralli per la costruzione dello scheletro. Procedimenti simili potrebbero forse essere utilizzati per ottenere materiale da costruzione, del cemento che catturi CO2 invece di rilasciarne. Significherebbe che noi esseri umani abbiamo imparato a costruirci la casa con lo stesso materiale usato dai coralli e dalle farfalle di mare.

Molte soluzioni che rispondono all’emergenza climitaica inoltre, aumentano il benessere di uomini e animali, migliorando le condizioni di vita, i trasporti, le infrastrutture. Comportano azione, presa di coscienza, responsabilità.

Insomma, che sia la conseguenza di un’epidemia, la forza motrice di una rivoluzione tecnologica o la risposta ad un’imminente catastrofe naturale, siamo destinati ad evolverci, e cambiare, e dobbiamo essere pronti a farlo, oggi, ancora più velocemente di ieri.

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